Ferrovieri di terza classe. Manutentori e rinnovo contratto FS

“Annuntio vobis gaudium magnum: habemus contractum!” Con una solennità paragonabile a quella dell’incoronazione del monarca vaticano è stata siglata, dal conclave dei sindacati confederali, l’ipotesi di rinnovo del contratto collettivo nazionale di lavoro delle attività ferroviarie. Il confronto negoziale che ha portato alla tanto attesa fumata bianca segue un sempre più preciso e rituale cerimoniale liturgico fatto di apparenti rotture mai conclamate, battaglieri proclami di lotta eternamente sospesi in aria, abissali e incolmabili distanze che improvvisamente diventano trascurabili e ricomponibili, il tutto mentre niente di quello che realmente viene discusso nelle segrete stanze e al riparo da occhi indiscreti trapeli e venga a conoscenza dei diretti interessati, di coloro cioè che non solo si troveranno a svolgere la propria attività lavorativa sulla base di quanto stabilito da altri, ma che avrebbero tutto l’interesse, oltre che il pieno diritto, di far sentire la propria voce e di partecipare attivamente e in prima persona a questo processo.
Così le organizzazioni sindacali hanno annunciato l’avvenuto accordo: “Il rinnovo è il frutto di un lavoro sindacale serio, continuo, unitario, e di un’interlocuzione costruttiva con le controparti che hanno saputo cogliere l’importanza di risposte non più rinviabili (…) Il risultato raggiunto è frutto quindi non solo della determinazione sindacale, ma anche di un’interlocuzione seria con le controparti, che vogliamo riconoscere per aver saputo condividere, fino in fondo, la responsabilità di dare risposte concrete al settore”. Questo comunicato, oltre ad essere, anche dal punto di vista lessicale, un esempio paradigmatico di sindacalismo concertativo, sancisce la trasformazione definitiva dei ferrovieri in semplici spettatori paganti dell’evento e ribadisce, una volta di più, la convinzione per cui non solo la lotta di classe debba definitivamente scomparire dall’orizzonte ideologico-pratico del movimento operaio, ma che addirittura non esistano più nemmeno interessi contrapposti tra “padroni” e lavoratori, ma solo differenti punti di vista che possono e devono essere superati con la buona volontà di tutti, in piena armonia e senza conflitti.
Con questo spirito, ad esempio, sono state scientificamente ignorate e nemmeno presentate ai tavoli le richieste dei lavoratori di riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario, istanze che, oltre a rappresentare un’esigenza prioritaria per migliorare la qualità di vita, si sono ormai largamente diffuse in molti settori, sia pubblici che privati, sia in Italia che all’estero, favorendo un notevole aumento della produttività stessa.
Il comunicato delle OO.SS prosegue: “Si tratta di un rinnovo che porta importanti avanzamenti normativi e retributivi, con ricadute concrete sulla qualità del lavoro e sulla tutela dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori del settore”. Gli importanti avanzamenti retributivi sono costituiti da un aumento lordo di circa 230 euro mensili spalmati in tre anni, ben al di sotto quindi non solo dell’inflazione reale, ma anche di quella programmata. In definitiva, come se la forma potesse trasformare la sostanza e la parola sostituire il fatto, si continuano a definire aumenti quelli che in realtà sono rallentamenti della perdita di potere d’acquisto dei salari.

La costruzione della retribuzione continua a dipendere da tutta una serie di indennità legate a determinate attività: notti, trasferte, flessibilità, spostamento di riposi, weekend lavorati, nonostante fosse stato chiesto dai lavoratori di porre l’accento sull’aumento dello stipendio base a discapito di quello, peraltro risibile, come risulta dall’incremento di 10 centesimi per la notte, di queste indennità che molto spesso non sono altro che espedienti per “incentivare” lo svolgimento di prestazioni a cui l’azienda dovrebbe ricorrere solo in caso di effettiva, comprovata e saltuaria necessità. Sempre dal punto di vista retributivo vengono sdoganati definitivamente e fatti passare come “normali” tutta una serie di provvedimenti che meriterebbero una riflessione più approfondita, in quanto, anche in questo caso, appaiono dei veri e propri omaggi non solo al gruppo FS, ma anche a tutta una serie di aziende “terze”; contemporaneamente, queste misure tendono a indirizzare l’acquisto di determinati beni da parte dei lavoratori, limitandone la libertà come consumatori, per la serie: “ti elargisco dei soldi che ti spettano, ma tu li potrai spendere solo nei modi da me indicati”.

Per il periodo di vacanza contrattuale di 18 mesi viene erogata una somma una tantum di 1000 euro lordi, circa 55 euro lordi per ogni mese dal primo gennaio 2024 ad oggi: risulta abbastanza evidente quanto sia il risparmio per l’azienda, quanto la perdita per i lavoratori e quale sia uno dei motivi dei continui ritardi nel rinnovo del contratto.

Il recupero del premio produzione 2024 viene diviso in una parte in denaro e nell’altra in servizi welfare; allo stesso modo, invece che concedere un ulteriore aumento dello stipendio, si opta per incrementare sanità integrativa e previdenza complementare, si sceglie cioè di non distribuire denaro direttamente ai lavoratori lasciando che ne dispongano come meglio credono, ma di fornire servizi non richiesti indirizzando ingenti capitali al rafforzamento di aziende private anche a discapito di quelle pubbliche, vedi sanità integrativa, e di fondi di investimento non controllabili, con tutto quello che ne consegue anche in termini di finanziamento dell’industria bellica. Una pratica quella di trasformare denaro in servizi e welfare che, iniziata con i buoni pasto e gradualmente ma incessantemente estesa a sanità e previdenza integrativa, risulta estremamente funzionale per le aziende che ne fanno uso, in quanto, oltre a rappresentare uno sgravio fiscale, consente loro di costituire partecipazioni e partnership con altre realtà erogatrici di servizi e di produrre ricchezza “parassitaria”, cioè senza produzione di beni reali a tutto discapito del potere d’acquisto dei salari. Una tendenza questa progressivamente incentivata dalle varie finanziare che si sono succedute nel corso degli anni, con il beneplacito di sindacati che non si sono mai opposti, probabilmente perché interessati a questa deriva, che oltretutto comporta una continua destrutturazione di vari servizi pubblici togliendo loro fondi, minandone l’efficienza e indicando nella privatizzazione degli stessi l’unica soluzione praticabile per renderli funzionali, scimmiottando il fallimentare modello tatcheriano con quarant’anni di ritardo, o illudendosi di inseguire il sogno, o meglio l’incubo, americano.
“Gli importanti avanzamenti normativi”, consistenti nel rispetto e nell’incremento dei riposi, nel mantenimento del numero degli stessi nei fine settimana e in quello fisso nel sesto giorno, nella riduzione della massima prestazione e nell’aumento del minimo riposo giornaliero, si applicano esclusivamente al personale di bordo, macchinisti e capitreno, ma non agli addetti alla manutenzione infrastrutture. Questi lavoratori continuano ad essere sottoposti a turni che prevedono undici giorni di lavoro consecutivi, nessun fine settimana libero, notti con inizio nel giorno di riposo, sessanta ore distribuite in otto giorni senza riposi intermedi, doppia notte consecutiva, quattro notti in una settimana, possibilità da parte dell’azienda di poter spostare il turno con 48 ore di preavviso, etc.
Non vogliamo qui ripercorrere la storia legata alle vicende dei manutentori, alla loro disastrosa situazione lavorativa e umana e alle lotte messe in atto a partire dall’accordo del 10 gennaio e dall’entrata in vigore dei “turni punitivi”, per i quali si rimanda agli articoli qui pubblicati (UN 20/24, 30/24, 02/25). Riteniamo invece opportuno ribadire come il rinnovo contrattuale sia stato siglato da quelle stesse organizzazioni sindacali che hanno firmato lo sciagurato accordo e l’hanno difeso a spada tratta contro ogni evidenza e a dispetto della volontà della maggioranza dei lavoratori, e dei propri iscritti, che da più di un anno ne subiscono sulla propria pelle le conseguenze, che lottano per riconquistare la dignità e la possibilità di avere una vita privata al momento  completamente annientata da una turnazione che oltre ad essere logorante fisicamente e psicologicamente, costituendo anche una minaccia per la sicurezza dei lavoratori, è assolutamente inadeguata all’adempimento della manutenzione delle infrastrutture.
Non c’è quindi da meravigliarsi più di tanto per il fatto che la condizione dei manutentori non venga minimamente migliorata da questo contratto, che si pone in diretta continuità con il 10 gennaio nell’emarginazione di un settore di importanza strategica fondamentale per il gruppo FS in quanto bacino di raccolta principale per la maggior parte dei capitali provenienti dal PNNR e principale ente appaltante per una moltitudine di cantieri di rinnovo.
La scarsa visibilità dell’addetto alla manutenzione e la strategia sindacale di dividerlo dal resto dei ferrovieri, preferendo lotte di settore a una protesta generale e solidale, ne fa una perfetta vittima sacrificale da immolare sull’altare della concertazione e degli interessi di vertici aziendali e sindacali, molto spesso convergenti più di quello che possa apparire. Risulta evidente allora perché la lotta fin qui intrapresa non abbia prodotto risultati apprezzabili e come sia necessario un’accelerazione e un salto di qualità nelle strategie per contrastare la continua aggressione aziendale e l’apatica inerzia sindacale che concorrono nel far apparire la situazione non modificabile, e spingono al disimpegno, all’indifferenza e alla ricerca di scorciatoie personali anche a discapito del resto di coloro che sono nella stessa condizione. A tutto ciò si aggiunge anche il ricorso alla richiesta di “elemosina verso il capo” che, ben contento di elargire un favore e di apparire magnanimo non fa che stringere le corde che immobilizzano e rendono impossibile ogni futura rivendicazione.
Solo partendo dall’analisi della propria condizione individuale, dello scarto esistente tra quello che viviamo e quello a cui pensiamo di aver diritto o a cui aspiriamo, potremo prendere coscienza di essere tutti nella stessa situazione, di fronte alla quale la ricerca di una scappatoia personale è solo un modo di eludere il problema e di indebolire il fronte comune, di non riconoscere in chi è nella nostra stessa posizione un alleato che battendosi per sé stesso contemporaneamente lo fa anche con e per noi: “Il male che un solo uomo provava diventa peste collettiva”(Camus). Intraprendere una strategia di lotta collettiva a partire dalla propria individualità è l’unica possibilità per riuscire ad essere realmente incisivi, risultare credibili e ottenere risultati apprezzabili.
Un grande, compatto e deciso movimento di base appare essere l’unico antidoto in grado di disinnescare la deriva autoritaria-paternalistica dei sindacati e di contrapporsi efficacemente all’arroganza dei “padroni”, ricorrendo a strategie che mettano gli uni e gli altri di fronte a fatti compiuti e non reversibili, senza ricorrere ai metodi tradizionali che, fortemente limitati anche dalla legge sulla regolamentazione degli scioperi, il decreto sicurezza e l’inammissibilità della class action, si sono dimostrati inefficaci e hanno finito per fiaccare e indebolire la lotta e farci accettare lo stato di fatto convincendoci della sua inevitabilità e immodificabilità.
Questo movimento va costruito e sostenuto non sulla base di teorie e indicazioni piovute dall’alto, ma a partire dall’esperienza di rivolta quotidiana contro ogni sopruso, dall’abitudine a ribellarsi in ogni situazione a quello che ci appare ingiusto e infondato, dalla rivendicazione incessante di ciò che riteniamo irrinunciabile, dallo schierarsi costantemente al fianco di chi subisce un’ingiustizia, dal non retrocedere di fronte alle minacce e a dal non farsi abbindolare dalle promesse. Spetta ad ognuno di noi impegnarsi in questa battaglia, senza risparmiarsi e senza lasciare soli, e di conseguenza indifesi e vulnerabili, coloro che lottano e si espongono: non creiamo martiri, non ne abbiamo bisogno, costruiamo tutti insieme un muro compatto da contrapporre a chi ci vuole schiavi e arresi. Ribelliamoci!

alemannaro

Related posts